Pentola a Pressione – Pent Press ed… energie alternative
Pressure Cooking o Pent Press o Pentola a Pressione……… e curiosità su energie alternative.
A suo tempo ho acquistato questa pentola a pressione. Un po per la compattezza della stessa, un po perchè il design mi ricordava una parte di un disco volante che io e molte altre persone a suo tempo abbiamo visto ( certo, ci sono un sacco di spiegazioni scientifiche che possono giustificare quella strana cosa che ho visto, e qualcuno può pensare che sia un po’ svitato, ma agli interessati posso fornire qualche dettaglio in più… erano gli anni 1963-65 – Vedi articoli di giornale dell’epoca ). Ma quella è un’altra storia….
cosa gradita fornirvi la documentazione.
Nel 1949 quando Jacques Kuhn metteva a punto Duromatic, la prima pentola a pressione capace abbattere i tempi di cottura, nel rispetto dei cibi e in totale sicurezza. Infatti l’ingegnere svizzero brevetto
per primo la valvola in grado di indicare la pressione interna e mantenerla costante grazie ad un elemento di sicurezza che entra automaticamente in funzione in caso di sovrappressione.
Un espediente tecnico tutt’oggi all’avanguardia.
A partire dagli anni cinquanta nacquero modelli sempre nuovi e sempre più diversi tra di loro.
La pentola a pressione è proprio un’invenzione, che oggi compie ben 60 anni….e ancora i cuochi di professione usano la pentola con circospezione e cautela.
In qualsiasi pentola tradizionale, l’ebollizione dell’acqua avviene ad una temperatura di circa 100° C, e non è possibile portare le pietanze ad una temperatura più alta di questa. Infatti, al momento di bollire, l’acqua evapora e, come dimostrano le leggi della fisica, sottrae calore al liquido ed alla pentola. Fin tanto che ci sarà liquido in grado di evaporare e fuoriuscire, quindi, nessuna fonte di calore dovrebbe poter innalzare la temperatura al di sopra dei cento gradi, non almeno in condizioni di pressione atmosferica normale. È vero che chiudendo la pentola con un coperchio tradizionale si potranno ridurre le perdite di calore, ma ciò non porterà mai ad un sensibile innalzamento della temperatura.
Un po’ di foto…..:
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Con la pentola a pressione è invece possibile bloccare più o meno completamente la fuoriuscita di aria e vapore, sicché vi sarà al suo interno un notevole aumento della pressione, anche a 2 bar (sarà dunque doppia rispetto a quella riscontrabile nell’atmosfera). Il punto di ebollizione dell’acqua, a livelli di pressione talmente alti, sarà innalzato a valori di 120° C o superiori : raggiungendo tali temperature, le pietanze potranno cuocersi in tempi considerevolmente ridotti.
Per evitare pressioni e temperature troppo alte, la cottura è regolata da una valvola di sicurezza. È questa la principale innovazione tecnica sulla quale si basa la cottura a pressione. In caso di pressione eccessiva, la valvola si alzerà e permetterà che il vapore acqueo e goccioline d’acqua fuoriescano, così gradualmente la temperatura scenderà e la pressione si normalizzerà a quella ambiente.
Un argomento curioso ed interessante, visto che i principali problemi di oggi sono inquinamento ed energie rinnovavibili è La pentola del carbone .
I ricercatori dell’Istituto Max-Planck hanno sviluppato un metodo tramite il quale residui vegetali si possono trasformare in polvere di carbone. Il metodo è semplice e si rifà all’invenzione di Papin , chiudere ermeticamente il coperchio di una pentola affinché il contenuto cuocia più velocemente. Ora la pentola potrebbe acquistare ulteriore fama come apparecchio che consente di abbandonare certe energie fossili.
Markus Antonietti, professore di chimica e direttore dell’Istituto Max-Planck di Potsdam, usa contenitori simili per la rapida preparazione di una delle più importanti fonti energetiche dell’era industriale: il carbone.
Il procedimento è semplice e la materia prima quasi inesauribile trattandosi, infatti, di resti vegetali di qualsiasi provenienza – dalla pigna fino alla buccia di arancia. I ricercatori chiamano questo processo la “carbonizzazione idrotermale”. Dodici ore di “cottura” a 180 gradi centigradi e un po’ di acido citrico come catalizzatore sono sufficienti a trasformare biomassa in carbonio, processo che in natura dura, invece, alcuni milioni di anni. In condizioni di calore e di pressione, la struttura molecolare delle piante cambia. I loro elementi fondamentali carbonio, idrogeno ed ossigeno assumono altre combinazioni. Il carbone ottenuto contiene quasi totalmente il carbonio contenuto nella biomassa iniziale. Ciò che poi resta è una fina polvere di carbonio, quasi puro, e acqua che si può separare con l’ausilio di un filtro. Secondo Antonietti, il motivo per il quale finora nessuno ha applicato questa semplice ricetta è il seguente: “La produzione di carbonio non aveva nessuna priorità per gli scienziati”.
La produzione di carbonio è uno dei risultati dell’iniziativa di ricerca Enerchem, nell’ambito della quale collaborano, da due anni, cinque diversi istituti Max-Planck. L’obiettivo dell’iniziativa è quello di fornire delle basi chimiche per tecnologie che possono contribuire a risolvere il più grande problema del nostro tempo: produrre “energia” senza alterare il clima. Per molto tempo, la visione dell’idrogeno è stata quella dominante, idrogeno ottenuto da acqua ed elettricità solare.
Questa visione incontra, però, ostacoli tecnologici per ora insormontabili. La produzione e la distribuzione di idrogeno comporta alti costi e perdite. In nessun paese industrializzato si fanno oggi grandi sforzi per costruire un’infrastruttura per la distribuzione di idrogeno. Molto più passabile e più facile da intraprendere sembra essere la strada della produzione di carburanti sintetici da biomassa. Il metodo somiglia a quello naturale che ha portato alla formazione di petrolio, gas naturale e carbone, sostanze organiche caratterizzate da un’altissima densità energetica.
Secondo il calcolo di Antonietti, l’emissione mondiale di CO2 causata dalla combustione di risorse fossili potrebbe essere compensata quasi totalmente, se le piante rigenerabili che crescono sull’uno percento della superficie terrestre – cioè su un’area di 1000 x 5000 chilometri – fossero carbonizzate in un processo idrotermico. Il risultato non dovrebbe nemmeno essere sempre carbone. Se il processo di carbonizzazione viene interrotto, per esempio dopo otto ore, nella pentola a pressione si forma una protoforma del carbone: humus molto stimato dai giardinieri. La produzione di terriccio fertile avviene ancora più veloce della trasformazione della biomassa in combustibile e ridurrebbe efficacemente l’emissione di CO2.
Antonietti: “L’umanità avrà seri problemi di risorse, forse fra 20 anni, ma un problema acuto del clima esiste già oggi”.