Vecchio Juke Box Wurlitzer….e storia del Juke Box
Il Juke Box, insieme al flipper e al grammofono, appartiene a quegli oggetti di culto che rappresentano la nostra infanzia e la gioventù nostra e dei nostri genitori, un ricordo incredibile dell’atmosfera degli anni Cinquanta: il rock & roll e il fast food.
Tra in non più giovanissimi, chi ha seguito la serie televisiva Happy Days si ricorderà di Fonzie che con un colpetto faceva suonare al Juke Box le hit dell’epoca.
Il Juke Box riempiva l’atmosfera con i tormentoni dell’estate, le canzoni da spiaggia, le canzoni romantiche o i lenti, intrattenendo, ( o a volte infastidendo ), anche le persone non paganti.
Se le Tv non mandassero in onda, ogni tanto, vecchi film o vecchi telefilm sugli anni cinquanta, forse i ragazzi d’oggi, ( quelli dell’era Ipod, Ipad, Iphone e lettori Mp3 vari ) ignorerebbero addirittura l’esistenza di “strani” apparecchi a gettone per ascoltare musica nei bar e nei ritrovi.
Fino agli anni Ottanta considerato un oggetto sorpassato, si è via via imposto come oggetto da collezione, trasformandosi da caro, simpatico, casinista amico di tanti ragazzi di ieri a quella di un tranquillo, costoso e ricercato mobile da salotto.
Ma bisogna sapere che la storia dei jukebox comincia molto prima che i nostri genitori potessero vedere in tv Fonzie entrare nel bar di Arnold e far partire la musica con un bel colpo di pugno : questo infatti ha già più di 100 anni !!!
Era il 23 novembre del 1889, un oscuro telegrafista americano, Louis Glass, perfeziona un fonografo della Edison ( Vedi Post su Grammofono e Fonografo e la storia del Fonografo di Edison ), e lo installa al Palais Royal Saloon di San Francisco. L’apparecchio funziona con una monetina, e permette a quattro ascoltatori di godersi simultaneamente un (unico) brano musicale (l’apparecchio non consentiva altra scelta) attraverso ricevitori a cono, collegati con un tubo allo stesso fonografo. Il fonografo funzionava a sua volta con un unico rullo su cui era impresso il motivo musicale. Fu un successo immediato: solo nel primo giorno quel prototipo incassò 15 dollari, una discreta somma per quei tempi.
Possiamo considerarlo l’antenato del Juke Box.
Nel 1906 la società americana John Gabel lanciò l’Automatic Entertainer, un altro apparecchio fonografico a moneta, che permetteva anche la scelta di brani diversi, grazie al fatto di utilizzare, al posto dei “cilindri” musicali di Edison, i primi dischi di moderna concezione (in metallo, ricoperti di cera) inventati fin dal 1877 da un commesso di stoffe tedesco, un certo Emile Berliner poi emigrato in America. Il vantaggio dei dischi era la praticità e la relativa facilità di riproduzione.
La Wurlitzer, la Seeburg, la Rock-Ola e forse in misura leggermente minore la Ami, furono le grandi case americane che si diedero battaglia dal 1930 al 1960, anno in cui si affermò definitivamente il fenomeno degli shouter (urlatori, in Italia), per conquistare il mercato statunitense dell’apparecchiatura per fare musica. Una battaglia senza esclusione di colpi, vinta o talvolta persa dalla decisione del costruttore di permettere la selezione di un disco in più, o dal gusto di un designer che sistemava al posto giusto una cromatura.
La tradizione musicale della famiglia Wurlitzer risale al XVII secolo. I predecessori di Rudolph Wurlitzer si erano già fatti un nome in Sassonia come produttori e commercianti di strumenti musicali.
Nel 1856 Rudolph Wurlitzer ( emigrato in America nel 1853 all’età di 24 anni ) fondò “The Wurlitzer Company”. Inizialmente il fondatore si occupava d’importazione di strumenti musicali ed aveva aperto dei punti vendita in tutte le maggiori città americane. Nel 1880 avviò poi la produzione di pianoforti in America.
Nel 1896 fu commercializzato il “Tonophone”, primo pianoforte funzionante a moneta. Nell’era del cinema muto dello scorso secolo si ottenne un fatturato straordinario con la vendita di organi per teatri e sale cinematografiche. Il “Mighty Wurlitzer” gode ancora oggi di una certa notorietà.
Farny Wurlitzer, figlio minore del fondatore, all’inizio degli anni 30 acquistò un meccanismo per Juke Box brevettato, ingaggiandone anche l’inventore, Homer Capehart e un designer geniale, Paul Fuller.
Cominciò così l’età dell’oro dei jukebox Wurlitzer con i primi modelli che riproducevano i vecchi dischi in gommalacca a 78 giri: Wurlitzer guadagnò una quota di oltre il 60% in un mercato già in fase d’espansione. Con lo slogan “Music for millions” in questi anni il nome Wurlitzer divenne sinonimo di jukebox. I pianoforti a gettone, un tempo troneggianti e richiestissimi in tutti i luoghi di ritrovo, vennero rapidamente accantonati a favore del nuovo, stupefacente “compagno sonoro”.
Nel 1933, appena superato il periodo della grande depressione seguita alla crisi del ’29, la Wurlitzer presentò il suo primo apparecchio e fu un anno decisivo. Fino ad allora pianoforti e organi da teatro avevano trovato la loro giusta collocazione nei circoli d’élite americani; ma con il primo modello “P10” il Juke Box Wurlitzer fu presto messo alla portata di tutti i clienti di ristoranti e bar. Con l’inserimento di una moneta da 5 o 10 cents era possibile scegliere la canzone preferita fra 10 selezioni di dischi in gommalacca. Il mobile, impiallacciato in noce, aveva già la finestra da cui si poteva vedere il meccanismo cambiadischi e una griglia nella parte inferiore frontale, dove si trovava l’altoparlante. Fra il 1934 e il 1935 ne furono prodotti 3700; il suo prezzo attuale è stimato dalla casa produttrice tra i 1.200 e i 2.200 $, a seconda delle condizioni.
In realtà il primissimo modello venne chiamato chiamato “Debutante“: il suo aspetto era molto diverso dai Juke Box originali, privo dei “bubble tubes” e dei cilindri colorati dei Juke Box anni Quaranta; assomigliava molto di più a un cassettone.
Nel 1934 la Wurlitzer ne modificò il nome in P 10 e, secondo alcuni, questo è il primo modello ufficiale, mentre il Debutante era piuttosto un tentativo per sondare il mercato.
Negli anni 30, il jukebox diventa la “sala da concerto dell’uomo comune”.
Ancora oggi il principio di funzionamento resta invariato. Dopo l’inserimento di una moneta si procede alla selezione, con la differenza però che i brani musicali sono su CD e che sono disponibili ben 2.000 selezioni.
La qualità del suono è di gran lunga superiore e con l’ampia scelta di brani musicali è possibile venire incontro ai gusti musicali di quasi tutti i clienti.
Ma torniamo al 1934….
La svolta fu attuata da Fuller, secondo molti l’indiscusso maestro del Juke Box design, con il Wurlitzer 850 del 1941: prodotto in più di 10 000 esemplari, già creava durante l’esecuzione del brano effetti prismatici e caleidoscopici grazie all’utilizzo di dischi rotanti di pellicola polarizzata, di vari spessori e colori. La sua quotazione attuale è fra i 5.000 e 15.000 dollari.
La fase pionieristica è superata fra il 1933 e il 1938, a opera dei quattro maggiori produttori: Wurlitzer, Rock-Ola, Seeburg e AMI. Nasce il prototipo di Juke Box ormai entrato a far parte dell’immaginario collettivo: meccanismi interni ben visibili, fregi nichelati, luci fosforescenti e profluvio di materiali plastici traslucidi ideati da Miller e Fuller.
I designer proponevano apparecchi dalle forme sempre più accattivanti; nel 1940 fu realizzato, per la prima volta, un juke-box la cui sommità invece di essere squadrata era ad arco. L’idea si rivelò brillante, tanto da determinare la linea di tutti gli esemplari dei successivi dieci anni.
I vecchi apparecchi che prima della guerra venivano considerati antiquati nelle città ed erano stati venduti nelle campagne, vennero recuperati per ricavarne pezzi di ricambio; la Wurlitzer ebbe la geniale intuizione di produrre un mobile che si potesse adattare universalmente a tutti i meccanismi interni. Fu questa operazione che le permise di fornire i locali più lussuosi di Juke Box nuovi, e che le diede quindi la spinta necessaria a diventare marca leader del settore.
A causa della guerra, Wurlitzer dovette sospendere la produzione di jukebox a vantaggio della fabbricazione di prodotti di ausilio alle operazioni belliche, come ad esempio i componenti radar. Nel frattempo però gli ingegneri, e specialmente il progettista Paul Fuller, avevano lavorato alla realizzazione di nuovi modelli di jukebox: il risultato fu il modello 1015.
Nel 1946 il modello Wurlitzer 1015 divenne… il più gettonato. Ideato da Fuller, che insieme a Miller della Seeburg dal 1938 rivoluzionarono il design dei Juke Box con l’introduzione della plastica, il Wurlitzer 1015, prodotto in 56.242 esemplari, rappresenta il simbolo dell’American Way of Life, attecchito in Italia solo tardivamente, all’inizio degli anni Cinquanta.
L’eccezionale design del 1015 lo rese, a detta di molti, il più bel Juke Box di tutti i tempi. In ogni caso il 1015 resta il modello del XX secolo più venduto sul mercato mondiale.
Il Wurlitzer 1015 divenne in poco tempo il simbolo della voglia di divertirsi che contagiava come una febbre gli americani alla fine della guerra. Il battage pubblicitario fu talmente forte che la fornitura di un locale poteva cambiare drasticamente se non si possedeva il 1015. Un caleidoscopio di colori, dal giallo al verde al rosso all’arancione, simbolo di speranza, di allegria e di ricostruzione dopo gli orrori della guerra…..e oggi un mito per i collezionisti.
Il mio sull’etichetta in metallo che è fissata all’interno è stampigliato Mod 1015 N.1014268, ma presumo non corrisponda a detto modello.
Un altro modello che fece storia fu il famoso AMI A, soprannominato non a caso “Mother of plastic“, del 1946….
Nel 1948 la Seeburg, sempre all’avanguardia per la tecnologia, aveva presentato il modello M100A, che consentiva la scelta tra 100 dischi contro i 24 dei Juke Box convenzionali.
Fu un duro colpo per la Wurlitzer e per le altre marche concorrenti, che faticarono non poco per realizzare un prodotto competitivo.
Come se non bastasse, in pochi mesi la Seeburg produsse l’M100B che utilizzava 50 dischi da 45 giri incisi su entrambi i lati. Il primo modello della Wurlitzer in grado di contrastare il predominio dei nuovi Seeburg venne commercializzato a partire dal 1952, con tre anni di ritardo.
La concorrenza tra le case produttrici in questo periodo fu agguerritissima. Ogni anno veniva prodotto un nuovo modello che doveva essere venduto per lo più ai noleggiatori, i quali a loro volta si occupavano di affittarlo ai gestori dei locali pubblici.
Apparecchi ancora perfettamente funzionanti venivano rimpiazzati da modelli più nuovi, in quella sorta di corsa al consumismo che era dettata dalla moda. Gli apparecchi ritirati dalle città venivano “passati” ai locali di campagna e in seguito ritirati e demoliti a colpi d’ascia anche se erano tutt’altro che da buttare.
L’età dell’oro dei jukebox durò fino ai primi anni del dopoguerra.
Il decennio 1948-58 rappresenta un periodo dominato dai modelli della Seeburg. Il Juke Box cambia faccia, verso una progressiva semplificazione formale: meno fantasmagorico l’impiego di luci, ma soprattutto un dominio incontrastato del metallo nella struttura,
con inserti di plastica color pastello.
I collezionisti si dividono fra gli amanti del primo periodo 1938-48 del Juke Box, con struttura impiallacciata con legni pregiati ed effetti rutilanti, di fatto gli amanti dei primi Wurlitzer, e coloro che preferiscono il secondo periodo, quello tra il 1948 e il 1958.
Da un punto di vista estetico, dopo gli anni ’60 i Juke Box perdono il fascino del design e pertanto sono meno ambiti dai collezionisti. Il fine era infatti renderli sempre più semplici per l’uso e la manutenzione nei locali. Anche il suono prodotto risulta diverso.
Tuttavia la divisione in periodi può essere fatta anche secondo un diverso criterio: negli anni 1938-48 si hanno modelli a 78 giri, tra 1950-60 compaiono i modelli a 45 giri.
A me piacciono entrambi, ma purtroppo troppo costosi, mi accontento di vederli o di ascoltarli quando qualche mio amico possessore di tali modelli me li fa ascoltare.
Attorno al 1950 cominciò poi per i Juke Box un’età “dell’argento”.
Modificato il design, fu quindi la volta dei dischi a 45 giri, con una scelta standard di 100 titoli. Furono prodotte unità con magici e coloratissimi effetti luminosi, da collocarsi in bella vista all’interno di bar e caffè. Nel 1956, in occasione del centenario della fondazione della casa, Wurlitzer introdusse in tutto il mondo il suo primo jukebox con 200 selezioni.
Anche in Gran Bretagna si producevano Juke Box: una casa importante era la Chantal Limited di Bristol. Nel breve volgere del decennio 1953-1963 ebbe vita e si chiuse l’esperienza “autarchica” della BAL- AMI, una filiazione inglese della AMI americana, nata a causa
delle restrizioni inglesi sulle importazioni: tutto ciò che di straniero veniva venduto doveva essere per almeno il 53% realizzato in patria. Questa fu un’ottima opportunità per la nascita di Juke Box inglesi su design americano.
Esisteva anche una produzione italiana di Juke Box, su design americano: quella della torinese Microtecnica. Il modello più famoso era il Continental. Per la maggior parte questi pezzi sono stati acquistati da Svizzeri e Tedeschi quando in Italia non erano oggetti
da collezione.
Nel 1986, a 40 anni dall’introduzione del modello originale 1015, Deutsche Wurlitzer GmbH commercializzò “One More Time”, un Juke Box nostalgico con tecnologia moderna, la cui popolarità resta ancora oggi incontrastata.
Ma quali sono gli elementi per valutare lo stato e di conseguenza il prezzo di un Juke Box?
Anzitutto il Juke Box deve essere il più possibile costituito da parti originali: il legno dell’impiallacciatura, se si tratta di un modello degli anni 1938-48; i fregi nichelati, la gettoniera, che non deve essere stata rimossa o sostituita; l’impianto di amplificazione, funzionante, ma non sostituito da sistemi più moderni, poiché il suono originale era di altissima qualità.
E’ chiaro quindi che il problema più difficile nel collezionismo di Juke Box è il reperimento di esemplari il più possibile integri e originali. A questo si può ovviare acquistando da antiquari e restauratori di fiducia, ma anche avendo delle piccole nozioni di base, per esempio: i modelli a 78 giri in Europa non arrivarono mai, se non in casi sporadici; in Italia inoltre non esisteva un’importazione parallela di parti di ricambio, perciò un Juke Box a 78 giri “originale” andrà cercato negli USA.
Difficile inoltre reperire esemplari (ricercatissimi), soprattutto se a 78 giri, in buone condizioni, poiché una volta superati da nuovi modelli, trasmigrarono verso i paesi più poveri dell’America Centrale e Meridionale. Qui vennero recuperati e restaurati con pezzi non originali e soprattutto venne sostituita la gettoniera originale, funzionante con 5, 10 o 25 centesimi, nel mio caso 100 pesos della repubblica colombiana.
Se un jukebox degli anni Cinquanta ci viene presentato con un mobile in ottime condizioni, ci dovrebbe subito saltare la pulce al naso, perché qualcosa non torna: o parti del mobile sono state sostituite (e allora la quotazione diminuisce) o si tratta di un falso.
La gettoniera e i fregi non dovrebbero essere stati rimossi o sostituiti, il metallo dovrebbe portare i segni del tempo e l’impianto di amplificazione dovrebbe essere originale e non rimpiazzato da dispositivi più moderni. Non bisogna essere grandi esperti per
accorgersi di pezzi difettosi o prossimi alla rottura. Per i meccanismi interni ci si può regolare con il colore che hanno assunto alcuni pezzi: il marrone è sempre un brutto colore quando si tratta di circuiti, e lo stesso vale per i meccanismi, che potrebbero
essere arrugginiti e dunque fragili.
Ci sono rari casi di perfette ricostruzioni con i colori ed i motivi dell’epoca, ma trovare un mobile riverniciato a regola d’arte è difficile se non impossibile. Per questo, è forse preferibile trovare un mobile “vissuto”, che porta i segni del tempo.
È chiaro, poi, che la sua quotazione aumenta in base alle condizioni in cui il mobile jukebox si trova: più sono buone, più il prezzo aumenta. Per capire se siamo di fronte al mobile giusto, ci si può appoggiare a internet, dove si trovano cataloghi con modelli e disegni originali, così che individuare un falso o un disegno non proprio di un determinato modello diventa più facile.
Appunto il mio è stato importato dalla colombia.
Attualmente esiste una vera e propria caccia al Juke Box originale. Le loro quotazioni sono naturalmente molto variabili: un Juke Box in buono stato degli anni 30 o 40 può costare da 20.000 fino a 50.000 euro, già restaurato. Meno dispendiosi ma anche meno scenografici quelli per 45 giri degli anni ’50-’60 in quanto sono più semplici e pertanto svuotati dal fascino legato al passato. E’ proprio il caso del mio modello Wurlitzer che a parte l’etichetta interna mod 1015, il modello reale deve esser wurlitzer 1600.
Oggi le vecchie case produttrici di Juke Box non esistono più, oppure si sono convertite alle moderne tecnologie: la Wurlitzer, “la Ferrari del Juke Box”, non produce più; la J.P. Seeburg, produce ancora Juke Box che funzionano con compact disc; la Rock-Ola
Manufacturing Corporation, tuttora gestita dai discendenti del fondatore, ha lasciato una forte traccia nel lessico ispano-americano, tanto è vero che in Sud America il Juke Box si chiama appunto “rockola”; l’AMI (Automatic Musical Instrument Co.), trasformatasi
in AMI-Rowe produce apparecchi a lettura laser e Juke Box che riproducono il glorioso Wurlitzer 1015.
Cosa è rimasto allora del vecchio mondo dei juke-box, al di là del collezionismo di alto livello?
Se l’origine del nome “Juke Box” è incerta (probabilmente significa “scatola per ballare”, riprendendo il termine slang dei neri americani “jook”, poi divenuto “juke”, che significa appunto “ballare”), certamente un forte segno si è impresso nel lessico: ancora oggi infatti si usa il verbo “gettonare” per definire una preferenza nei confronti di argomenti e fatti non solo musicali.
Interessante sapere anche che la differenza nelle battaglie tra i vari costruttori la faceva anche la playlist, ovvero le scelte di brani musicali che ogni costruttore di riusciva ad assicurarsi ed immettere nei propri apparecchi.
Un po’ di foto…..:
In Italia, ad esempio, il Juke Box fu determinante nella svolta dei cosiddetti “urlatori” (la generazione dei vari Celentano, Mina, Dallara, ecc.), che, nell’Italia assolutamente melodica degli Anni Sessanta, aprirono la strada al rock ed al pop.
L’influenza del Juke Box nel mercato discografico italiano veniva allora consacrata anche dal “Festivalbar”, una manifestazione che decretava i vincitori proprio attraverso le classifiche delle selezioni fatte sui Juke Box sparsi in tutt’Italia.
La manifestazione nacque nel 1964 da un’idea di Vittorio Salvetti e prevedeva una gara fra le canzoni dell’estate: lo scopo finale era eleggere simbolicamente la più gradita e la più rappresentativa della bella stagione. La misurazione delle preferenze del pubblico avveniva attraverso gli ascolti rilevati dai juke-box disseminati nei bar di tutta Italia. Il meccanismo era semplice: ad ogni apparecchio era applicato un “contatore” che rilevava quante volte un brano veniva scelto e di conseguenza suonato. Alla fine dell’estate, la somma di tutte le “gettonature” (dal momento che il brano partiva inserendo nel juke-box un apposito gettone) decretava il vincitore ( e da qui il termine ).
La manifestazione aveva quindi solo una premiazione finale, in settembre, che a partire dal 1968 diventò una vera e propria serata televisiva e venne trasmessa su Rai 2 fino al 1982. La sede “storica” di questa serata finale era l’Arena di Verona
Come già visto anche in altre occasioni, la tecnologia ha certamente migliorato la qualità della musica. Oggi un lettore MP3 ha le dimensioni di una monetina….ma si ascolta da soli con le cuffie !!!!
Un bella differenza rispetto a quando la musica si acoltava in gruppo con gli amici….vivendo quindi la stessa atmosfera e le stesse emozioni, godere la musica in compagnia.
Se fino agli anni Ottanta il juke box era considerato un oggetto surclassato dalle nuove tecnologie in campo audio di consumo, oggi è passato da un compagno rumoroso ad un silenzioso ornamento da arredamento…..ma come potete vedere…..non il mio !!!!
Queste informazioni sono frutto di qualche ricerca al momento dell’acquisto…..probabilmente il mio è un mix di pezzi di ricambio di diversi Juke Box finiti appunto in Sud America….forse qualche intenditore può farsi avanti e darmi qualche informazione in più…
Potrei conoscere il valore di un wurlitzer 1900?
Comment by paolo — 1 Gennaio 2013 @ 14:15che quotazione potrebbe avere uno non revisionato e uno revisionato???
perchè in giro vedo cifre astronomiche per questo jukebox.
Grazie.