Antico Sbucciapatate del 1300, i manodomestici e storia della patata
Girando per la moltitudine di oggetti, anzi, di “ferri vecchi” che ho per la casa, cercando di trovare qualche cosa che non avevo ancora fotografato ( e di oggetti ne ho ancora moltissimi !! ), mi sono imbattuto in questo splendido pelapate o sbucciapatate.
Da quanto è complesso, si potrebbe pensare che l’abbia progettato Leonardo da Vinci !!! Ma questo è molto più vecchio di Leonardo…..risale al 1300 !
Si tratta di un bellissimo manodomestico : è in poche parole un antenato degli elettromestici, utensile per la cucina o per la casa studiato per aiutare le massaie nel lavoro quotidiano ( e non solo le massaie ); piccole invenzioni per la vita di tutti i giorni.
Molti dei manodomestici provengono dagli Stati Uniti, stato all’avanguardia per la creazione di questi originali brevetti.
I primi processi d’automazione e controllo della casa risalgono al periodo tra il 1800 e il 1900. In tal epoca è stato possibile diffondere nelle società industriali l’energia elettrica sui vari territori nazionali, contestualmente a importantissime invenzioni come la lampadina di T.A.
Edison e ai primi manodomestici cui furono applicati i primi motorini elettrici. Il primo esemplare di un’elettrodomestico, fu presentato nel 1883 all’Esposizione di elettrotecnica di Vienna, ed esso consisteva in una pentola di vetro in cui l’acqua veniva fatta bollire con una spirale di platino riscaldata; nello stesso anno si costruirono bollitori, stufe elettriche, ferri da stiro, e da quel momento lo sviluppo e lo Studio degli elettrodomestici ha percorso tanta e tale strada che ancora oggi è pienamente in atto, pronta a produrre modelli sempre più sofisticati ed elaborati.
Da quel fatidico anno le nostre case cominciarono, dapprima con cauto ottimismo, a presentare un numero sempre maggiore di strani
apparecchi, fino ad arrivare spesso nella saturazione di tutti gli spazi domestici.
Ma prima di questi, come abbiamo visto, c’erano i manodomestici.
Numerosissimi sono stati infatti i congegni che, imitando i movimenti della mano e trasformando l’andirivieni in movimenti rotatori continui, sono stati messi a punto (o perfezionati, avendo origini più remote nella seconda metà del XIX secolo)
utilizzando i progressi nel campo della meccanica di precisione (sono quegli stessi manodomestici che via via, nel tempo a venire, si gioveranno dell’automazione, dell’elettrotecnica e infine dell’elettronica.)
Per lo più sconosciuti i nomi degli inventori, anche perché, curiosamente ma significativamente, più persone in luoghi diversi si impegnavano nella stessa direzione.
Prima dell’avvento dell’energia elettrica, piccole macchine per pelare le patate come altri apparecchi dalle più strane funzioni quali la pulitura dei coltelli e delle forchette, la spennatura dei volatili, i tritacarne ( comunque, tutte invenzioni americane che in Europa ebbero scarsissimo successo) erano manovrati a mano; finché non verrà loro applicato un piccolo motore elettrico, una forza “motrice” che “nel processo della meccanizzazione della casa ha avuto la stessa importanza dell’invenzione della ruota nel trasporto”.
Sbucciapatate e sbucciamela, snocciola-ciliege, schiaccianoci, affetta-sedano, carote, macinapepe, macina-ceci, macina-orzo, varie tipologie di macinini per caffè da viaggio o da bancone di rivendita, macchina per la produzione della pasta con le trafile in bronzo e in
legno, torchietto per l’estrazione del ‘succo di carne’, sono solo alcuni degli strumenti che possiamo ancora oggi trovare nei vari mercatini dell’antiquariato e che rientrano in questa categoria.
I manodomestici sono talvolta strumenti funzionanti con meccanismi molto semplici ma che consentono di effettuare anche operazioni complesse in pochissimo tempo: lo sbucciamele è in grado di togliere il torsolo della mela, sbucciarla e al contempo affettarla a spirale ed essere già pronta per le decorazioni dei dolci o per essere mangiata. Alcuni strumenti richiamano la tradizione locale come il macina-ceci e il macina-orzo. Le macchine per fare la pasta con le trafile, alcune sono in bronzo, ma altre in legno: il legno ha il
vantaggio di non trasmettere alcun sapore alla pasta.
Anche prima dell’avvento dell’energia elettrica dunque, gli apparecchi per la cucina erano già in produzione, anche se spesso, erano talmente complicati e indecifrabili, che l’utilizzatore (quanto oggi), se ne serviva con forte pregiudizio, rimanendo perplesso di fronte allo strano strumento.
Ora, qualcuno avrà notato che stiamo parlando di un periodo compreso tra la meta del 1800 ed il primo ventennio del 1900, mentre nel titolo ho indicato che questo sbucciapatate è del 1300.
Ma sicuramente ai più attenti non sarà sfuggito il fatto che anche la patata non era ancora presente in europa !
La mia era una piccola provocazione…
La patata (detta anche patata irlandese) è una pianta che appartiene alla famiglia delle Solanacee – famiglia che comprende pomodori, melanzane e peperoni.
La pianta ha un fusto ramoso e peloso da cui si sviluppano rami e foglie che formano una specie di ciuffo; i fiori possono essere bianchi, rosa o violacei e il frutto a bacca contiene moltissimi semi.
Sui getti sotterranei si formano i tuberi, costituiti da una polpa soda ricca di amido e nella quale sono inserite le gemme moltiplicatrici della specie. E’ una pianta a grandissima adattabilità ambientale: pur preferendo climi temperati a buone e uniformi precipitazioni durante l’arco dell’anno, prospera in qualsiasi terreno e clima. Vastissima la gamma di varietà, che si possono raggruppare nei tipi da tavola, da fecola o per l’industria e da foraggio.
Le patate, oggi così normali nelle cucine europee, hanno una storia abbastanza recente e abbastanza diabolica.
Sono arrivate dall’America e nessuno sapeva bene cosa farne (quelli che lo sapevano, gli Indios, erano praticamente tutti morti).
Arriva questa strana pianta che cresce sotto terra; le foglie fanno schifo, il tubero crudo è immangiabile, quando inverdisce è velenoso ( la famiglia è la stessa della dulcamara e della belladonna) ; insomma la storia delle patate è degna di un romanzo d’avventura.
Questo tubero ha incontrato in Europa tante resistenze e tante diffidenze, e ancora più ostacoli ha trovato in Italia, dove è diventata un alimento comune solo nel 19esimo secolo. Ossia molto dopo che la patata era entrata nell’alimentazione quotidiana in altri paesi, come Irlanda e Olanda.
Le tracce più antiche di coltivazione di patate risalgono a ben 7000 anni fa e si trovano sulle sponde nord del lago Titicaca, nel Perù meridionale. Gli Incas, la cui civiltà prosperò dal XII secolo fino all’arrivo dei conquistatori europei, non si limitavano a coltivare e mangiare patate: le veneravano. Testimonianze inconfondibili si hanno dal vasellame, le cui decorazioni e forme ripropongono insistentemente il soggetto della patata. I tuberi erano sepolti con i defunti, per accompagnarli nell’ultimo viaggio, come li avevano accompagnati in tutti i viaggi terreni – sotto forma di chuño, patata essiccata.La “scoperta” della batata da parte degli Europei coincide con la scoperta dell’America: alcuni esemplari furono portati in Spagna da Colombo non più di dodici mesi dopo il suo sbarco ad Haiti. Si narra che il navigatore ne fece omaggio alla regina di Spagna, Isabella di Castiglia, e che i tuberi venissero poi piantati nei giardini di corte. Le patate, invece, arrivarono più tardi, via Oceano Pacifico. Il primo europeo ad avvistarle fu nel 1537 Juan de Castellanos, membro della spedizione del conquistatore spagnolo Gonzalo Jimenez de Quesada. Castellanos racconta che, entrando nelle case degli indigeni nascoste tra le pieghe della Cordigliera Centrale colombiana, scovarono scorte di mais, fagioli e “tartufi”. La spedizione, non avendo trovato oro nel suo viaggio verso le Americhe, tornò in patria con un bottino dei suddetti tartufi, che altro non erano che le patate.
Venne poi portata nuovamente in Europa anche da Francisco Pizarro che l’avevano scoperta durante la conquista del Perù attorno al 1580.
Più tardi, dalla Spagna si diffuse in Italia in Germania e, poco prima della Rivoluzione, in Francia per merito dei carmelitani scalzi e dei certosini, divenendo un cibo da ospizi e ospedali.
In tutta Europa però, per quasi due secoli, venne considerata solo una curiosità botanica e una pianta d’appartamento.
Le ragioni? Innanzitutto l’aspetto inconsueto e l’appartenenza alla famiglia delle Solanacee (come la belladonna o la dulcamara), piante dalle foglie velenose che erano in odore di stregoneria o venivano considerate dannose per la
salute. Inoltre si trattava di una pianta diversa da quelle a cui erano abituati gli europei: il fatto che non si potesse usare per panificare e non si potesse mangiare cruda la rendevano poco attraente agli occhi dei contadini, che non sapevano bene come consumarla.
Nel 1565 Filippo II di Spagna inviò al papa un certo quantitativo di patate, che vennero scambiate per tartufi e quindi assaggiate crude, con ovvio disgusto.
Ci vollero dapprima la guerra dei Trent’anni anni (1618-1648) e poi le epidemie e le carestie della metà del ‘700 per superare questi tabù, diffondere la conoscenza delle patate e avviarne la coltivazione sistematica in Irlanda, Inghilterra, Olanda e Prussia.
La caccia alle patate-streghe fu particolarmente veemente in alcune zone della Francia durante il ‘600: accusate di trasmettere la lebbra, furono per questa ragione messe al bando nella città di Besançon, con un editto emanato intorno al 1630. Ecco perchè
nonostante la pubblicità della famiglia reale (Maria Antonietta ne portava addirittura i fiori sul corpetto), la patata non ebbe grande successo: il suo “sdoganamento” avvenne più tardi, per merito di Antoine Augustin Parmentier, farmacista ed agronomo che la scoprì durante la guerra dei Sette Anni (1756-1763) e che la valorizzò in patria riuscendo a dimostrare, nel 1773, l’infondatezza dei pregiudizi ai luminari dell’Accademia di Medicina di Parigi.
Per farle conoscere, fece piantare interi campi di patate nelle terre attorno a Parigi, ottenendo dal re che fossero sorvegliati dai soldati durante il giorno. La notte, gli abitanti della zona, incuriositi, rubavano i preziosi tuberi, assicurandone in tal modo la pubblicità e
il loro cammino trionfale……Un’ottima operazione di “marketing” !!!
Durante la rivoluzione del 1789 la patata si impose come cibo popolare, e all’inizio dell’ottocento trovò la definitiva consacrazione anche nella haute cuisine. In effetti, la prima ricetta giunta fino a noi è tedesca e risale addirittura al 1581, ma fu in Francia che un
ricettario completo fu dedicato a questo tubercolo nel 1793; il primo di una lunga serie.
I pregiudizi tra i contadini resistettero a lungo nei secoli successivi in tutta Europa: le patate furono incriminate alternativamente per essere vettori di scorfola, sifilide, rachitismo, febbre etc. Nel 1774, in una Prussia flagellata dalla carestia, fu Federico il
Grande in persona a farsi testimonial della patata. Inviatone un carico a Karlberg per convincere la popolazione a piantarle, l’unica risposta che ottenne dalle autorità del luogo fu “Questa roba.. nemmeno i cani la vogliono”. Ci pensò un gendarme svevo inviato in seconda battuta a far cambiare opinioni ai locali, insegnando ai contadini come coltivarla.
Anche in Italia, dov’era stata introdotta dal granduca Ferdinando II di Toscana, la patata ebbe a lungo scarsa fortuna, tanto che fino al 1580 fu usata solamente come pianta per ornare i giardini. A capirne il potenziale fu lo scienziato Alessandro Volta, che ne promosse la conoscenza presso il mondo scientifico. Nella seconda metà del 1700 iniziarono coltivazioni su larga scala in diverse regioni italiane, principalmente nelle zone degli archi appenninici e alpini. Numerosi testi della prima metà dell’800 rivelano però che la patata stentava ad affermarsi, perché veniva ancora considerata cibo per poveri e, quindi, era disprezzata dalla borghesia. Nel 1845-46 le coltivazioni italiane furono attaccate dalla peronospora: questo indusse a studiare più a fondo questa pianta, in modo da debellare il problema, e fece fiorire l’interesse per le patate. Risultato: la coltivazione uscì dalla “minore età”, durata più di un secolo, e la patata perse l’immagine di stranezza esotica diventando un alimento popolarissimo.
Divenuta il principale cibo delle popolazioni agricole nel nord Europa, la pianta della patata puo’ essere considerata la piu’ importante causa di emigrazione verso l’America. Una malattia del tubero, che determino’ la famosa carestia della meta’ del XIX sec.
costrinse infatti, centinaia di migliaia di contadini irlandesi, tedeschi, inglesi ed olandesi ad abbandonare le loro case per cercare condizioni di vita migliori nel nuovo mondo.
Irlanda, anno 1845: la stagione, fino all’inizio di luglio, era stata ottima. I campi di patate, che vestivano le colline di tutto il Paese con le loro foglie verde scuro e i loro fiori purpurei, brillavano rigogliosi. Poi il tempo cambiò, e si ebbe un brutto agosto, con
temperature sette gradi sotto la media stagionale. La malattia attaccò senza che se ne avesse alcuna avvisaglia, nella prima metà di settembre: nel giro di pochi giorni i campi si trasformarono in cumuli di steli appassiti che puzzavano di cadavere.
I tuberi erano marci, da buttar via. Nessuna delle varietà coltivate resistette al flagello della ruggine. Il raccolto di un’intera nazione era distrutto. La sciagura divenne irreparabile quando la malattia si ripresentò, più feroce, l’anno seguente: nel 1846 non si salvò una sola piantina di patate in tutto il suolo irlandese. Alla fine dell’anno era carestia, che condusse a una tragedia di proporzioni sconosciute alla storia europea dai tempi della peste nera del 1348. La ruggine, peraltro, aveva colpito i campi di patate di tutto il vecchio continente, ma solo in Irlanda le conseguenze furono così devastanti.
Perché? In Irlanda si coltivavano quasi esclusivamente patate; le patate costituivano l’unico alimento della popolazione contadina insieme al latte. I cereali erano consumati solo dai nobili e dai ricchi borghesi delle città; per il resto erano riservati all’esportazione nel Regno Unito. La dipendenza della popolazione dalla patata era totale. Da quando sbarcò in Irlanda, nel giro di cinquant’anni la patata era diventata la principale fonte di sostentamento e fulcro stesso della vita degli irlandesi. Nell’Irlanda
cinquecentesca l’agricoltura era arretrata e quasi esclusivamente di sussistenza. La popolazione era ridotta alla fame dalla miseria e dalle lotte sanguinose con l’Inghilterra, che per quasi 300 anno avrebbero lasciato il Paese in uno stato di perenne disordine economico, sociale e politico. Seminare i campi significava garantirne la rovina: qualsiasi cosa si fosse tentato coltivare, sarebbe stata calpestata e distrutta; i raccolti nei granai potevano essere saccheggiati e bruciati. Questa era la situazione quando arrivò la
patata. Fu accolta come un dono della Provvidenza: richiedeva un impegno minimo in termini di tempo, lavoro e conoscenze agricole specifiche. L’ alimentazione, che prima era basata su latticini e carne, subì un cambiamento radicale. La dipendenza della popolazione dalla patata divenne sempre più profonda nei secoli successivi. Le leggi penali e le restrizioni commerciali introdotte dagli inglesi alla fine del ‘600 aggravarono la situazione. E il pericolo insito nella dipendenza da un unico alimento cominciò a
manifestarsi. Nel 1846 l’Irlanda contava tra gli otto e i nove milioni di abitanti. La carestia, e poi il tifo, lo scorbuto e il colera uccisero un milione di persone. Come in tutti i casi in cui manca una biodiversità alimentare, la dipendenza dal monoalimento non è
solamente materiale, è anche psicologica. Neanche in caso di emergenza estrema le poverissime famiglie dei coltivatori furono capaci di prendere in considerazione alternative alimentari: senza patate si moriva di fame. Punto. Illuminante è il caso delle aree costiere
dell’isola, paradossalmente tra le più colpite dalla carestia: i contadini non erano in grado di nutrirsi di pesce, se questo non era accompagnato dalle patate. La fame, unita a una politica sciagurata che negava sussidi e assistenza ai contadini che occupavano più di un
quarto di acro inglese, provocò anche un’ ondata di emigrazione verso gli Stati Uniti e in misura minore verso le grandi città del nord dell’Inghilterra – Liverpool e Manchester videro un’irruzione di massa della manodopera irlandese, che rimase segregata dal resto della società. Il flusso migratorio ebbe la sua punta massima negli anni 1846 e 1847.
Si calcola che il Paese, tra morti ed emigrati, abbia perso due milioni mezzo di persone. Nel giro di qualche anno ancora la popolazione irlandese risultò dimezzata.
D’allora la storia delle patate è una storia felice: quella delle sue varietà e delle sue molteplici ricette.
La patata e’ un tubero che contiene il 18% di glicidi sotto forma di amido. Un luogo comune la fa ritenere una alimento ingrassante, di difficile digestione, causa di meteorismi intestinali.
Al contrario, e’ importante sapere che 100 g di patate normali danno circa 80 calorie, a fronte delle 260 – 270 calorie fornite da 100g di pane bianco. Il problema sta invece nei condimenti grassi usati nella preparazione e dai sughi che molti aggiungono.
Nella patata non e’ presente solo amido, ma anche interessanti quantitativi sia di vitamine sia di minerali, che in realta’ dopo la cottura scendono a livelli insignificanti.
Pur considerando questa perdita, la patata resta per le popolazioni del nord, una delle fonti piu’ importanti di vitamina C (variabile fra i 15-25 mg per ogni 100 g), e delle vitamine del complesso B. Notevole anche la quantita’ di potassio (600 mg per ogni 100 g). Oltre alle vitamine, ai minerali ed alle fibre, le patate contengono svariati composti fitochimici, quali i carotenoidi ed i polifenoli.
La patata non va mai sbucciata prima di metterla nell’acqua a bollire, perche’ privata della sua buccia non tratteniene le sostanze piu’ solubili (vitamine e sali minerali) che vanno pertanto disperse. E’ anche questo il motivo per cui la migliore forma di cottura e’ quella a secco, sotto la cenere o al forno.
Nel togliere la buccia attenzione a non affondare troppo il coltello, perche’ e’ proprio tra la buccia e la polpa che si accumulano le maggiori percentuali di sali minerali e vitamine.
E’ ora facile comprendere il ruolo che assume la patata sbucciata nella preparazione dei brodi di verdura e dei passati, utili fin dallo svezzamento.
Nella scelta delle patate, attenzione alla buccia e alla polpa: e’ da loro che dipendono il sapore ed il grado di commestibilita’.
L’esterno deve essere privo di macchie, non raggrinzito, non soffice, e soprattutto privo di germogli. Anche la polpa non deve avere macchie e odori sgradevoli. Il consumo delle patate germogliate puo’ provocare disturbi (vomito, dispnea, polso frequente e talvolta enterite) dovuti ad una sostanza che si chiama “solanina“, una sostanza alcaloide, velenosa a concentrazioni superiori a 400 mg. per chilo di patate, presente solo in minime tracce nelle patate sane e che aumenta notevolmente durante la germogliazione. Il segno di un eccesso di solanina sta nella colorazione verde che talvolta si nota al di sotto della buccia e dei germogli. E’ quindi necessario, in presenza di queste condizioni, sottoporre le patate a una attenta pulizia ed alla rimozione delle aree verdastre. La cottura in acqua determina la riduzione di circa il 40% della solanina presente, con la frittura, invece, la percentuale che viene persa, sale al 52%.
Grande importanza ha quindi il modo in cui le patate vengono conservate, sempre in luoghi freschi, asciutti e poco luminosi, condizioni che impediscono lo sviluppo dei germogli. Ai fini dietologici, in linea generale, il paradosso della patata indica che se lessa, con poco sale, puo’ sostituire il pane in coloro che hanno problemi di linea, quando invece sono fritte, sono sconsigliate a coloro che desiderano perdere qualche chilo perche’ sono impregnate di grassi. Non esistono controindicazioni alle patate, le uniche limitazioni, valgono solo per i diabetici e per gli obesi che dovrebbero mangiare in misura controllata.
Esistono quattro tipi di patata che si trovano normalmente in commercio:
Patate a pasta gialla, dalla polpa compatta, derivano il loro colore dalla presenza di caroteni. Sono impiegate per le patatine fritte industriali e casalinghe, ma sono adatte anche per le insalate e le cotture in forno.
Patate a pasta bianca, dalla polpa tenera e farinosa che si spappola durante la cottura. Sono adatte ad essere schiacciate, per esempio nel purè, nelle crocchette o negli gnocchi.
Patate novelle, caratteristiche per la buccia sottile e perchè sono piccole, vengono raccolte quando la maturazione non è completa. Sono a breve conservazione e andrebbero bollite con la buccia. Le patate novelle e le varietà a forma allungata contengono
una quantità minore di sostanze tossiche
Patate a buccia rossa e pasta gialla, caratterizzate dalla polpa soda e compatta che le rende indicate per le cotture intense quali cartoccio, forno e frittura.
Questo dicono cuochi e massaie. Tuttavia, come sa ogni donna o uomo di casa, qualunque patata va bene purché sia sottomano quando serve.
Uno degli utilizzi principali è quello delle patate congelate che comprende la grande maggioranza delle patate fritte servite nei ristoranti e nei fast-food. Si calcola che questo tipo di consumo riguardi oltre 11 milioni di tonnellate all’anno.
Un altro prodotto industriale è quello degli snack a base di patata, le cosiddette “patatine”, snack molto diffuso in moltissimi paesi. Le patatine sono preparate tagliando e friggendo delle fettine sottili di patate. Il prodotto viene poi confezionato con sapori diversi, dal solo sale a ad altre tipologie di aromi più elaborate. Alcuni tipi di snack sono preparati utilizzando un impasto di fiocchi di patate disidratati. I fiocchi di patate vengono prodotti facendo essiccare un impasto di patate bollite e sono utilizzati in diversi prodotti alimentari, dai preparati per purè agli snack.
Un altro prodotto disidratato è la fecola di patate ricavata dall’essiccamento di patate bollite. La fecola è di colore bianco (viene infatti anche chiamata farina di patate), priva di glutine, ricca di amido ed è utilizzata nell’industria alimentare come addensante per salse. Si trova normalmente in commercio ed è utilizzata per rendere più soffici i prodotti di pasticceria.
Le patate sono una delizia in cucina perché piacciono a tutti, anche ai bambini più rompiscatole e agli amici con la dispepsia e possono essere mangiate anche dagli intolleranti ( sono quindi un ottimo pane di riserva quando lievito o frumento o
sale sono off limits !).
Si accompagnano bene a qualsiasi piatto, sono squisite nature ma sanno assumere aspetti, varianti e sapori praticamente senza limiti.
Ci sono biblioteche intere dedicate alle meraviglie delle patate.
Una curiosità : chi ha inventato le patatine fritte?
Le patate fritte furono inventate (per fare un dispetto a un cliente) da George Crum, uno chef indio-americano, che però non brevettò la propria idea.
Tutto accadde una sera d’estate del 1853 al Moon Lake Lodge, un ristorante di lusso a Saratoga Springs, nello stato di New York. Un cliente esigente, il magnate nelle ferrovie Cornelius Vanderbilt, rimandò indietro per tre volte un piatto di patate che, a suo dire, non erano tagliate abbastanza sottili. George Crum, esasperato, decise allora di affettarle in sfoglie finissime, e quindi di friggerle, per renderle dure e difficili da mangiare con la forchetta.
Il dispetto però ottenne l’effetto contrario a quello sperato: Vanderbilt le divorò e quel piatto divenne una specialità. Sette anni dopo, Crum aprì un suo ristorante, che offriva un cesto di patatine fritte in ogni tavolo.
Ad aprile la strada al consumo di massa delle patatine fritte furono però due invenzioni successive: lo sbucciapatate meccanico (all’inizio erano sbucciate e affettate a mano) e i sacchetti studiati per lasciare intatte la freschezza e la croccantezza delle patatine, inventati dalla ditta californiana Scudders negli anni Venti.
Sempre a proposito di patate e di bucce. Ogni tanto compare da qualche parte la pubblicità di qualche mirabolante attrezzo sbuccia-patate.
Qualcuno afferma che funzionano….soprattutto chi li vende…..ma come potete vedere dal filmato, molto dipende dalle dimensioni e dalla forma : se è grande, liscia, regolare, l’aiuto è vero, altrimenti si fa prima ma si butta via metà patata.
Potete usare invece i pela-patate, gli attrezzini manuali che rendono la sbucciatura più veloce o i coltelli di ceramica, che riducono l’ossidazione. La cosa migliore è un buon coltellino affilato e qualcuno con cui chiacchierare nel frattempo.
La soluzione ideale, ovviamente, è sbucciare le patate dopo cotte, si fa molto prima e si salvano più vitamine.